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Curve di transizione

“Curve di transizione” è una galleria di immagini digitali, ideate e realizzate da Adriana Faranda attraverso la rielaborazione creativa di ritratti fotografici di Gerald Bruneau, con cui Adriana ha collaborato per molti anni.
In questa serie di lavori il filo conduttore è la trasformazione del concetto di identità nella cultura di oggi, una riflessione sugli innumerevoli volti che l’identità assume, dismette, modifica e reinventa.
Dietro ogni maschera si cela un personaggio dei nostri tempi, più o meno noto, più o meno riconoscibile. E ogni immagine che ne evidenzia un carattere, esplosivo, gioioso, meditativo, ironico. Ma è solo un espediente, del personaggio non rimane che il guscio, la rappresentazione simbolica di uno dei tanti volti dell’identità.
Le opere sono stampate a tiratura limitata in tre diversi formati su carta fotografica, numerate e firmate.

Disponibili su ordinazione, come semplice stampa fotografica o montate su alluminio con telaio.

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"È innegabile, viviamo in una fase di transizione. L’avvento di internet nella vita quotidiana, con il crescente protagonismo di una generazione di “nativi digitali”,  il gioco identitario sempre più spinto nei mondi paralleli delle realtà virtuali e la cultura della simulazione stanno modificando irreversibilmente non soltanto il concetto ma la struttura stessa dell’identità.

Se nel mondo proiettato sulla rete la relazione tra la fisicità del corpo e la rappresentazione di sé muta fino a sparire, nella realtà il corpo stesso è diventato mutante, provvisorio, soggetto alle trasformazioni plastiche, ai trapianti, alle protesi, alla clonazione.

Negli anni in cui sono nata, l’identità poggiava ancora su una fisicità che si evolveva seguendo leggi naturali e su relazioni sociali concrete e riconoscibili. Ma la velocità delle trasformazioni ha ormai chiuso l’epoca moderna scaraventandoci nel postmoderno, dove l’identità può sganciarsi dalla concretezza e vivere disancorata, nel gioco e nell’invenzione quotidiana. Quella che vediamo è già un’identità mutante, che si ricrea costantemente per poi tornare nel fluido della realtà, spesso delusa e disorientata da questa ciclica ricaduta nel reality show del quotidiano.

E forse, gran parte del travaglio dell’identità ha origine proprio in questa sorta di interregno, in questo scarto tra solidità che permane e fluidità che smarrisce. Qui spariscono le certezze e domina l’incertezza, il senso di libertà convive col disorientamento, la moltiplicazione dei contatti con la fragilità delle relazioni, la fusione empatica con la solitudine.  E  l’identità diventa sfuggente, impermanente, multipla. Chi ne adotta una, presto la abbandona, la scambia, ne assembla e ne sostituisce parti, come su una carrozzeria di un’automobile, stabilisce nuove interconnessioni per vivere un’altra identità da affiancare o sostituire alla precedente. Ma il percorso non è indolore, e chi si lancia in nuove sperimentazioni spesso ritorna indietro, risucchiato dalla paura, per rifugiarsi all’interno di identità più vaste e più forti, la famiglia, il clan, la religione, l’etnia, la nazione. Prova giochi di simulazione e di emulazione, si smembra in pezzi intercambiabili, si ibrida e si mimetizza, si esalta e si deprime, si omologa e si contraddistingue, cercando la sua diversità in un gioco di maschere infinito.

Come rappresentare tutto questo in immagini? Molti hanno scelto la fluidità dei contorni, o la metamorfosi, o la fusione. La mia scelta è caduta invece sulla maschera, come simbolo di identità. Una maschera di metallo.
Superficiale, ho pensato, come superficiale è lo spazio che oggi si percorre - anzi si corre – e in cui la profondità è stata sostituita dall’ampiezza.
Sottile, come il confine che ormai separa la realtà dalla finzione.
Mobile, come un abito che si cambia e che ci si scambia per essere sempre nuovi e diversi.
Duttile, come la forma che ci si dà per adeguarsi al vento delle circostanze.
Splendente, come la pelle che si indossa per compiacersi e per piacere.
Smontabile e rimontabile, come un collage dove sostituire un pezzo è già una nuova immagine.

E infine metallica, perché i metalli mutano al calore. Con i loro punti di fragilità, e le loro curve di transizione. Proprio come l’identità."  Adriana Faranda

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